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IL NATALE


Teleconversazione di Padre Mariano da Torino del 13 dicembre 1966

Pace e bene a tutti!

[…]
Natale vuol dire semplicità

Vedete, miei cari, io vorrei richiamare la vostra attenzione di uomini e di credenti sopra quella che è la nota dominante del Natale, nota dominante in sé, e quindi dovrebbe essere anche per noi; nota che invece spesso noi dimentichiamo, alteriamo e qualche volta anche soffochiamo; cioè la nota della semplicità.
Ma, scusate, non è il Natale Iddio stesso, lui che è l'invisibile e l'intangibile per noi, per semplificare i nostri rapporti con lui, non è lui che si è fatto uomo?
Ed allora bisogna rimuovere tutto quello che sa di complicato, di cerebrale, direi di troppo filosofico, di troppo teologico dal Natale e bisogna invece farlo vivere nella sua semplicità estrema; perché nel Natale c'è soltanto Iddio e c'è soltanto l'Uomo: c'è l'Uomo-Dio.
Proprio per questo io desidero questa sera presentare al vostro ascolto alcuni sonetti in dialetto romanesco. Essi fanno parte di una vasta collana, mi pare di più di 300 sonetti in dialetto romanesco, che raccontano in versi la storia di Gesù, così come ci viene raccontata dal Vangelo.
Molti di quelli sono già stati letti alla Radio Vaticana con grande successo e grandi consensi da quel simpaticissimo attore che tutti conosciamo, che è Aroldo Tieri.
Quelli che leggiamo questa sera saranno letti dall'autore, il quale è non soltanto un romano, romano de Roma, ma è un innamorato, giustamente, del suo bellissimo dialetto ed è uno studioso serio del dialetto, perché si è laureato con una tesi sopra Gioacchino Belli e in più ha un animo davvero da artista e da poeta.
Ed è, in più, per questo l'ho chiamato, perché gli voglio bene, un mio carissimo ex allievo del liceo Mamiani; è il dottor Bartolomeo Rossetti, che ringrazio di essere venuto qui e di avere accettato il mio invito, non soltanto di venire, ma di leggere lui stesso quello che lui stesso ha scritto.
Prima però, caro Rossetti,vorrei farle qualche domanda di rito, perché mi pare indispensabile anche per ambientare meglio la lettura che lei sta per farci. Anzitutto questo:

- Come e quando lei ha avuto l'idea di scrivere dei sonetti in dialetto romanesco sopra Gesù?
- Rossetti: Ecco, guardi, la prima idea mi è venuta proprio quando scrivevo la tesi sul Belli. Siccome al Belli è stato chiesto da diverse parti di scrivere una storia di Cristo in dialetto romanesco, la Storia Sacra in dialetto romanesco, lui non ha mai osato farlo e allora io mi sono un po' imposto questo compito, di seguire le sue tracce e...così ho tentato, sia pure con le mie modeste forze, di supplire a questa...

- P. Mariano: Tentativo che mi pare molto ben riuscito, anzi! E, naturalmente, per poter affrontare un tema così nobile, ma anche così arduo, lei si sarà documentato.
- Rossetti: Sì, naturalmente. Prima di tutto ho letto molto i Vangeli... così...compulsandoli passo per passo per scoprirvi la personalità di Cristo. E poi, naturalmente ho letto diverse vite di Cristo, le più documentate, a partire, non so, da quella dell'abate Ricciotti...

- P. Mariano: Forse anche Daniel Rops; forse Fernandez e queste ultime...
- Rossetti: Esatto... Certo... e poi anche alla luce degli ultimi ritrovamenti archeologici. Anche perché non era serio affrontare un argomento così delicato e così importante senza una documentazione precisa, direi scientifica.

- P. Mariano: Mi pare che lei, in questo, sia riuscito molto bene, perché io ho letto non soltanto quelli che lei leggerà questa sera, ma anche quegli altri, soprattutto sopra la Passione, che sono veramente commoventi, toccanti e che dimostrano in lei una conoscenza non comune del testo del Vangelo; cosa che non è comune, purtroppo, fra i cristiani, vero? E un'ultima domanda: perché l'ha intitolata questa collana di sonetti "Er Vangelo secondo noantri"? Non so parlare il romanesco, ma credo che su per giù si dica così!
- Rossetti: Siccome c'è un Vangelo secondo Luca... ecc., allora io ho pensato di fare un Vangelo "Secondo noantri". Lei sa che a Roma si dice "Noantri" per dire Noi altri. Cioè, c'è "La Festa de Noantri"... Quindi ho cercato di dare un'interpretazione popolaresca della vita di Cristo ed in questo ho seguìto un po' il filone della tradizione popolare italiana; perché sono stati scritti, dal medioevo ad oggi, moltissime "Canzuni", Novene per il Natale; soprattutto per il Natale, ma anche per la Passione. Non so... il Pianto di Jacopone da Todi, per esempio, può essere una... l'esemplare più cospicuo, più classico.

- P.Mariano: Molto bene. Io adesso non la trattengo più e stiamo in ascolto di quello che lei sta per leggere.
- Rossetti: Io vorrei leggere appunto la parte che riguarda il Natale. I sonetti precedenti parlano di san Giuseppe che, avendo letto l'Editto del Governatore, del censimento dell'Imperatore romano (voi sapete che quando nacque Cristo c'era in tutto l'impero di Roma il censimento), tutti i vari sudditi delle varie province romane dovevano presentarsi al luogo d'origine. Giuseppe, che abitava a Nazaret, doveva presentarsi al luogo d'origine della sua famiglia, cioè a Betlemme, che si trovava a pochi chilometri da Gerusalemme. Quindi comincerò a leggere da quel punto.


ER SARVATORE

-1-
Letto l'editto der governatore
lui disse: "ce mancava pure questa,
chissà che j'è passato pe' la testa
a quer brav'omo dell'Imperatore!
D'inverno, co' sto freddo che se more,
cor rischio de incoccià quarche tempesta,
mo' ce tocca partì tutti a la lesta
e annà laggiù, pe' forza o per amore".
Così Giuseppe piantò sega e pialla
e, presa la Madonna sotto braccio,
a piedi, cor fagotto sulla spalla,
s'incamminò a la stracca lemme lemme.
e tutto infreddolito, poveraccio,
prese la strada de Gerusalemme.

-2-

Lì partiveno come capitava,
s'accodaveno a quarche carovana,
un via vai de cammelli, 'na buriana
de gente stanca morta che viaggiava.
E la sera che er branco se fermava,
doppo marciato 'na giornata sana,
se sentiva soffià la tramontana,
e la Madonna, oddio!, come tremava!
Passarono tre notti allo scoperto
e de giorno viaggiavano a la lesta,
sotto er sole cocente der deserto.
La Madonna, cor manto su la testa,
seguitava a marcià cor passo incerto,
portando un po' de robba ne la cesta.

-3-
Doppo ave' pe' tre giorni camminato,
stracchi morti, co' quella confusione
d'emigrati de tutta la nazione,
arivati a Betlemme, difilato,
se presentò Giuseppe ar delegato
de Roma, pe' segnasse sur libbrone.
E poi je prese la disperazione,
co' Maria, lì, che stava in quello stato,
senza pote' trova' n'anima pia,
che la facesse stenne sopra un letto
pe' rifiatasse, povera Maria!
Tutto era pieno zeppo come 'n'ovo,
Giuseppe sospirava: "Armeno un teto,
Signore mio, me dichi 'ndo lo trovo?".

LA GROTTA DE BETLEMME

-4-
Gira e gira, domanna a questo e a quello,
bussa a tutte le porte, moje mia,
né arbergo, né locanna, né osteria,
tutto sprangato a son de chiavistello.
E allora San Giuseppe, poverello,
pe' ristorà la Vergine Maria,
voleva sistemalla 'ndo se sia,
cercava de trovaje un cantoncello,
armeno 'na capanna o quarche stalla.
Così incontrò pe' strada un pecoraro
irzuto, co' 'n agnello su la spalla,
che j'additò laggiù, dietro ar pajaro,
'na grotta pe' li bovi, calla calla:
lì armeno ce trovaveno un riparo.

-5-
C'era sortanto un briciolo de muro
e lui disse: "Coraggio, cara mojie,
semo soli, nessuni ce riccojie,
armeno qui potemo sta' ar sicuro".
Faceva freddo, s'era fatto scuro,
a lei j'ereno prese già le doje
e lui je fece un letto co' le foje,
pe' nun falla sdraja' propro sur duro.
Ne la grotta ci aveveno da un lato
un bove e all'artro lato un asinello,
che un po' li riscallaveno cor fiato.
Giuseppe la coprì cor su' mantello
e annava avanti e indietro, preoccupato,
che già stava pe' nasce er bambinello.

-6-
For der paese, ar fianco d'un fienile,
se ne staveno, mezzi insonnoliti,
un po' de pecorari infreddoliti,
rannicchiati su un sasso pe' sedile.
Nun badaveno tanto pe' er sottile
e co' quattro zeppetti strimenziti
se scallaveno ar foco, ammutoliti,
pe' veja' le su' pecore all'ovile.
Tutt'un botto se vidde un gran chiarore,
da riparasse l'occhi co' la mano
e 'n angelo j'apparve in quer furgore:
"Nun avete paura, ar monno sano
la bona nova! È nato er Sarvatore,
in una stalla, qui, poco lontano".

-7-
Poi se fece un silenzio da nun crede,
se fermò l'aria, senza un movimento,
nun se sentiva un alito de vento.
Disse un pastore: "Zitti, che succede?
quarcosa ce dev'esse... Annamo a vede".
Senza capi' ched'era, in quer momento
un brivido passò per firmamento,
e allora ogni pastore s'arzò in piede.
Viddero uscì dar cielo a cateratte
e scenne giù pe' l'aria, du' filare
d'angeli, bianchi bianchi come er latte,
e movenno l'ale tutte pare,
che je pareva de sentille sbatte,
mentre un coro cantò de voci chiare:

-8-
" In celo gloria a Dio! E in terra pace
all'ommini de bona volontà!".
Poi l'angeli ripresero a vola'
soffici e lindi come la bambace.
Lassato a cova' er foco ne la brace,
li pastori se misero a cerca'
quer Sarvatore nato in povertà,
che solo Dio poteva esse capace.
Arrivati a la grotta, fredda e spoja,
lo videro dormì, co' le manine
rosse dar freddo, ne la mangiatoja.
E Maria, co' n'amore senza fine,
cor viso che sprizzava da la gioia,
je rimboccava intorno le fascine.

-9-
La barba lunga e la camicia rotta,
intimidito, quarche pecoraro
già s'era avvivinato a quer riparo.
Poi tutti s'affacciarono a la grotta
portanno 'na frocella de ricotta.
Allora je successe un fatto raro,
che la notte je parve giorno chiaro.
Spilluzzicanno un pezzo de caciotta,
staveno zitti cor cappello in mano,
parlaveno tra loro adacio adacio,
tutti in punta de piedi, piano piano.
Eppure si puzzaveno de cacio,
ar Bambino Gesù, come a un sovrano,
ognun de loro poté daje un bacio.

-10-
Cor Bambino Gesù Maria, da brava,
s'aggiustò a vive dentro a quer buchetto,
sempre co' quer sorriso benedetto,
nun protestava mai, mai se lagnava.
E la mattina quanno se svejava
metteva l'acqua sopra ar fornelletto
e je faceva subbito er bagnetto
e doppo, bono bono, l'allattava.
Giuseppe usciva in cerca de la legna
pe' fa' er foco, e quarcosa pe' sfamalla,
che Dio l'aveva data a lui in consegna.
E lui nun se stancava de guardalla,
che de 'na reggia potev' esse degna
e s'adattava a vive 'nd'una stalla.

-11-
Intanto certi Maghi, dall'Oriente,
doppo ave' tanti giorni camminato,
fecero tappa, pe' pijà un po' fiato,
dentro Gerusalemme, finarmente!
E a ogni passo chiedevano a la gente
er re de li Giudei 'ndov'era nato:
"Noi, fino a qui, 'na stella ci ha guidato,
puro de giorno, tanto era lucente".
Sentennoli parlà de 'sta cometa
e de 'sto re potente, Erode er Vecchio,
ripensò a le parole der profeta.
'Sto re de Giuda je scocciò parecchio,
e a Betlemme 'sta nascita segreta,
je mise un po' la purce nell'orecchio.

-12-
A sentì circolà 'sta brutta nova,
de 'sti Persiani carichi de gemme
in cerca der Bambino de Betlemme,
quello pensava: "Qui, gatta ce cova".
E je disse, pe' metteli a la prova:
"Si ripassate pe' Gerusalemme
pe' piacere, venite a rivedemme,
perché vojo sapé 'ndove se trova,
pe' annallo ariverì come je spetta".
Ma fra sé già studiava er macchiavello:
"Sto gran Re nun sa quello che l'aspetta!".
Li Maghi intanto, a dorso de cammello,
cercaveno 'sta grotta benedetta,
'ndov'era nato er santo Bambinello.

-13-
Come 'na nave che mantiè la rotta,
la stella piano piano annava avanti,
e j'annaveno appresso tutti quanti,
dietro dietro, finché tutta 'na botta,
quella nun se fermò sopra la grotta.
Li Maghi allora, timidi e tremanti,
se trovorno er Bambino lì davanti,
inso' la Sacra Famija era ridotta,
e tutti je portarono 'n'offerta.
Ma ar punto de ripartì da la contrada,
venne 'n angelo e disse: "State all'erta,
nun ce cascate, Erode ve tié a bada,
vole ammazzà Gesù". Quelli, a la sverta,
presero quatti quatti 'n'artra strada.

Rossetti, grazie di cuore. Come è vero che il Natale è una sola nota altissima che unisce il cielo e la terra ed è una nota di semplicità, quella della quale abbiamo bisogno noi che siamo come i pastori e i magi insieme, nello stesso viaggio, verso la stessa mèta.

Pace e bene a tutti!

(Revisione dal parlato a cura di Rinaldo Cordovani)


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