"Poi" e "Neve"
Paolo Roasenda, pressochè ventisettenne, dimostra una riflessione intima e profonda, scaturita dall'osservazione attenta e minuziosa della realtà sia naturale che umana. Coglie l'essenzialità del Cristianesimo e promuove, senza esitazione, la santità del vivere presente.
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Poi
Chi non s’è fermato, durante un’ascensione alpina, d’un tratto, sul ciglio d’un
precipizio? In quel momento si vede e si ha la sensazione fisica del “poi”. È un
monosillabo che ha fatto dei santi.
Prenderò un diploma, mi sposerò, sarò allietato da figli e… poi?
Vincere un concorso è soddisfacente, di più lo è guadagnare una cartella della
tombola, ma…poi?
Non c’è da ribattere: sono tre lettere, ma danno i sudori. Non viviamo per
l’oggi ma tutti, anche l’incosciente, per il poi: e questo verrà, non dubitatene,
con passo che non falla. Tendete l’orecchio: non lo sentite che è in marcia
verso di voi? Siamo (chi lo nega?) protesi verso l’infinito e tutto sta nel
ricordarcene sovente.
“Poi” dice tutto: dà la pausa delle sofferenze, dà la corona del martirio, dà la
certezza della vittoria. Per chi viva con Gesù la sua giornata (che c’è di più
dolce su questa povera terra, polvere e sole, ma sole che fa vedere la miseria
della polvere?) l’amico più caro è il “poi”: vuol dire per lui avvicinarsi alla
mèta, un tendere le mani a Gesù che l’attende, un balenìo d’eterno, una sillaba
dell’eterno.
Quanto più urge la fatica, e lo scontento ti opprime, mormora, se non hai la
forza per altro, almeno un “poi”: ti rinfranchi il ricordo della brevità della
prova, dell’inesorabile fuga delle occasioni per fare bene e per fare del bene.
Che conta il pianto dell’oggi se il “poi” rasciugherà tutti gli occhi, spianerà
tutte le rughe dei veterani di Cristo?
(Il giovane Piemonte, N. 8, 19 febbraio 1933, p. 1)
Neve
Ecco che è caduta, a più riprese, ma sempre soffice, candida, silenziosa. L’han
benedetta i contadini, gli sciatori, i bambini. Ci sarà pane come c’è da
scivolare e da pallottolarsi per tutti. Quella, nessuno strumento, neppure il
più perfezionato, l’ha fatta. La radio, umile serva, ne ha annunciato lo
spessore nei vari colli e la segue con intensa cura. Ecco che un po’ di polvere
bianca la fa da regina sui macchinoni e sulle antenne: forse perché è pura e
tutti la rispettano.
Nessuno l’ha impedita nel venire e s’è presentata, proprio come dice Gesù, a
tutti, a buoni e a cattivi, come la grazia Sua.
Ma gli spazzini non la lasciano a terra: la spingono, la spargono, la
ricompongono e in bei mucchietti di terra, di fango, di nero, la buttano nelle
botole.
Penso che anche così è della grazia del buon Dio. Cade su tutti; pochi lasciano
che si accumuli e faccia farina, di quella bianca e buona; i più, inconsiderati,
han fastidio, loro prude quel formicaio di granellini, e in…un soffio si mondano
da quell’insistenza di benedizioni.
La parola buona dell’Assistente, l’esempio del compagno, la vita di un santo, un
pensiero meditato e che frulla spesso per il capo, una vetrina in cui stanno
allineati libri buoni, la carità fatta al bisognoso, sono altrettante nevicate,
leggere, inavvertite; non spazzatele per carità, con la ruvida scopa della
ribellione al bene, che fa sparire troppo bene ogni… bene. Lasciate che
s’accumuli, cresca, fino a formare una bella montagnola; il sole non la
scioglierà come l’altra, il vento non la disseccherà, se voi non la mandate via.
È la neve sotto cui cresce il pane che sfamerà in eterno le vostre anime: la
grazia del Signore, veduto e posseduto.
(Il giovane Piemonte, N. 3, 15 gennaio 1933, p. 2)
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