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I santi coniugi
Luigi e Zelia Martin



Dal 1968 al 1969 P. Mariano collaborò al settimanale Radiocorriere TV nella rubrica In Famiglia, da lui diretta, rispondeva ai quesiti dei vari lettori, tra i quali uno gli chiese espressamente quando la beatificazione dei coniugi Martin si sarebbe conclusa, lui così rispose: “Nulla ancora si può dire circa il suo esito. Se sarà positivo – come ci auguriamo – i cristiani potranno venerare, ma soprattutto cercare di imitare una coppia di sposi e di genitori esemplari, che, senza fare nulla di straordinario, sono stati ordinari nell’ordinario della vita di ogni giorno e nell’adempimento perfetto dei doveri del loro stato, proprio come la piccola e … grande figlia Teresa. Ed è proprio questa che, nella sua ben nota “Storia di un’anima”, dà le testimonianze più sicure e toccanti delle eccezionali virtù dei suoi genitori”. (In Dialogo La posta di P. Mariano, Roma 2010, vol. IV, p. 40).

In queste poche righe P. Mariano dimostrava di ben conoscere la storia di questa famiglia, ne ammirava lo stile di vita, prevedendone la santificazione. Infatti la famiglia è sempre stata per il cappuccino uno dei cardini del suo pensiero, ne comprendeva bene le problematiche e spese molte energie con scritti e conferenze per difendere la sua indissolubilità, la sacralità, l’educazione dei figli.

Così il 18 ottobre 2015 Papa Francesco ha voluto celebrare solennemente in S. Pietro la canonizzazione dei coniugi Luigi Martin e Zelia Guérin, genitori di S. Teresa del Gesù Bambino del Santo Volto, proprio durante lo svolgimento dell’Assemblea del Sinodo dei Vescovi sulla famiglia e in coincidenza con la Giornata Missionaria Mondiale.

Luigi e Zelia si sposarono a mezzanotte del 12 luglio del lontano 1858 ad Alençon, ormai non più giovanissimi per l’epoca (lui 35 anni e lei 27). Luigi aveva un negozio di orologeria e Zelia aveva avviato una piccola azienda di produzione dei bellissimi merletti di Alençon che poi venivano venduti a Parigi. Cominciarono a condividere la responsabilità, le gioie e i dolori tipici di una comune famiglia. Lavoravano entrambi e le loro rispettive attività garantirono una certa agiatezza familiare, che però non era vissuta con ostentazione, né con apprensione nei momenti difficili a causa della guerra Franco-Russa, risentendo delle comuni ristrettezze. Concepirono 9 figli, subirono il dolore della perdita di 4 di loro in tenera età.

Non fu semplice per Zelia ad un certo punto sostenere le responsabilità del suo lavoro nella piccola azienda, lavoranti salariati, la famiglia e la sua malattia così precoce che la stroncò alla giovane età di 46 anni nel 1877. Il marito fu sempre al suo fianco, mettendo da parte anche il suo lavoro per starle vicino. Da vedovo provvide a tutte le necessità della cinque figlie Maria, Paolina, Leonia, Celina e Teresa di appena quattro anni, curandone l’educazione e la religiosità. Poi si trasferì da Alençon a Lisieux per seguire la vocazione delle figlie che entrarono tutte in monastero. Fu vicino in modo particolare alla piccola e prediletta Teresa, offrendo a Dio i suoi sacrifici così come aveva sempre fatto insieme a Zelia. Dopo 17 anni dalla morte della moglie, in seguito a un’umiliate malattia che colpì le sue facoltà mentali, morì nel 1894, offrendo tutto al Signore; infatti in famiglia avevano scelto il motto di Giovanna d’Arco: “Dio è il mio servito”.

Avrebbero voluto entrambi da giovanissimi realizzarsi seguendo una vocazione diversa dal matrimonio,ma il loro incontro fu casuale: percorrevamo in senso opposto il ponte della loro città quando improvvisamente Zelia, vedendo Luigi, sentì una voce dentro di sé che le diceva: “Questo è l’uomo che ho scelto per te”. Subito il loro matrimonio fu inteso come vocazione, si sono accolti nella diversità, ma erano pieni di tenerezza e di amicizia, ricchi d’amore con una sensibilità particolare. Hanno trasmesso la vita con gioia e nella ricerca sincera della volontà di Dio. La nascita dei figli la vissero come dono di Dio ed educarli significava trasmettere non solo conoscenze, ma il sincero desiderio del Cielo e vivere la propria esistenza con amore e fiducia nel valore della persona. Così in una lettera Luigi si esprimeva: “Quando abbiamo avuto i nostri figli, le nostre idee sono un po’ cambiate: non vivevamo più che per loro, questa era la nostra felicità e non l’abbiamo mai trovata se non in loro. Insomma, tutto ci riusciva felicissimo, il mondo non ci era più di peso. Per me era il grande compenso, perciò desideravo di averne molti, per allevarli per il Cielo. Fra loro quattro sono già ben sistemati e gli altri, sì, gli altri andranno pure in quel regno celeste, carichi di maggiori meriti, poiché avranno combattuto più a lungo” (Lettere familiari 192).

Dalla testimonianza di santa Teresina conosciamo la grande intimità del suo papà con Dio e come questa trasparisse dal suo volto “A volte i suoi occhi si facevano lucidi di commozione, ed egli si sforzava di trattenere le lacrime; sembrava di non essere più legato alla terra, tanto la sua anima si immergeva nelle verità eterne” (Manoscritto A, 60); “… mi bastava guardarlo per sapere come pregano i santi” (Manoscritto A, 63).

L’aspirazione di Zelia alla santità, per sé e per gli altri, era costante consapevole però dei suoi limiti e del tempo perduto, così scriveva: “Voglio farmi santa: non sarà facile, vi è molto da sgrossare e il legno è duro come una pietra. Sarebbe stato meglio iniziare prima, mentre ero meno difficile, ma, infine, “è meglio tardi che mai” (Lettere Familiari 110). Le loro difficoltà non furono poche poiché lavoravano entrambi in attività che richiedevano precisione e impegno e una famiglia numerosa da curare.

Condussero un’esistenza comune a tante altre, semplice, normale, ma illuminata costantemente dalla prospettiva dell’eternità.

Questi genitori vissero in un ambiente sobrio ed essenziale, mai superficiale ed esibizionistico; trasmisero ai figli la carità generosa, pronti all’accoglienza del povero e all’attenzione a chi è nel bisogno, offrendo tutte le loro disponibilità anche economiche. Preferirono la sobrietà di vita e la letizia della povertà che rende ricchi di umanità; infatti non erano soliti frequentare l’ambiente sociale della loro città, ma privilegiarono immedesimarsi nelle necessità di chi soffre e sperimentare e accogliere la grazia di Dio fonte di misericordia e di amore.

In quella casa si era sempre in attività: lo studio, i lavori di ricamo, le arti assorbivano le figlie nelle varie ore della giornata. Luigi, rimasto solo nell’educare, mostrò la sua sensibilità di padre; comprendeva con affetto il carattere un po’ esuberante di Leonia e con fiducia attendeva con pazienza che i problemi adolescenziali delle figlie in tenera età si sarebbero superati. Le indirizzò verso l’arte; fece prendere lezioni di pittura, disegno, ricamo e Paolina riuscì a confezionare un paramento sacro che, molti anni dopo, fu indossato dal futuro papa Pacelli a Lisieux per il congresso eucaristico.

Lo spirito di carità è ciò che Luigi e Zelia hanno saputo infondere nella loro famiglia e che le cinque figlie hanno assimilato fin da piccole senza molte parole o attività mistiche, ma semplicemente nel dialogare sincero e nella praticità delle azioni quotidiane, creando un forte legame affettivo tra loro e genitori e questo stesso sentimento di comunione e compartecipazione le cinque figlie, poi, lo infusero nella loro vita monastica, creando anche lì un esempio di famiglia.

A noi, che viviamo in questa epoca di insicurezze e contraddizioni, con l’animo diffidente spesso chiuso in sé, i coniugi Martin insegnano la via per costruire le nostre famiglie, vivendo l’esperienza umana nella semplicità con lo sguardo rivolto a Dio e aperto ai bisogni dei nostri fratelli.

Maria Antonietta Mezzina  2015