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PUNTINI SUGL'I


Il prof. Paolo Roasenda (il futuro Padre Mariano) pubblicò su "Credere" - quindicinale per studenti della Gioventù Italiana di Azione Cattolica - una cinquantina di articoli brevi, con uno stile semplice e brillante, destinati alla formazione dei giovani lettori, per lo più studenti medi. Questi quattro "Puntini sugl'ì" furono scritti nel 1937, quando il prof. Roasenda era Presidente della Gioventù Romana di Azione Cattolica ed insegnava lettere classiche al Liceo "Mamiani".


PUNTINI SUGL'I - 1


Silenzio

Pare impossibile: quanto pochi sono quelli che intendono il valore del silenzio!
Lo intendono persino quelli... che parlano tanto: gli attori, dico, che nei sapienti silenzi, nelle pause a tempo e che durino un dato tempo, hanno riposto più d'un successo. Lo amano certo le telefoniste, che sono costrette a stare tutto il giorno a sentire le chiacchiere e le domande della gente. Lo amano soprattutto i grandi del pensiero e delle opere, che sanno bene essere impossibile concludere cosa che duri - per il tempo e per l'eternità - senza la clausura del silenzio.
Non meravigliamoci, quindi, quando a scuola si insiste tanto per avere "assoluto silenzio". Quello della scuola deve essere una preparazione per il silenzio che praticheremo nella vita. Ognuno deve avvezzarsi a tacere: a parlare ce n'è meno bisogno, perché si parla anche troppo.
Se è vero che la nostra vita spirituale esige, per rendere al massimo, una cura periodica di... silenzio (e gli esercizi spirituali lo esigano come condizione indispensabile) anche la vita intellettuale - poiché si studia non con la sola intelligenza, ma con tutta l'anima - richiede un'atmosfera di silenzio, di tranquillità. Le grandi conquiste del pensiero sono frutto lungamente preparato nella quiete dei laboratori, nei fortilizi dei ricercatori, nel silenzio ricco di profondità.

Siamo cristiani a scuola?

Schiere di giovani varcano ogni giorno le soglie di migliaia di scuole; gli istituti vanno aumentando di anno in anno, sempre perfezionandosi, specializzandosi, suddividendo le loro mansioni onde rispondere meglio al loro compito.
Non c'è certo crisi di scuole, né di maestri, né di studenti. Ma noi chiediamo a queste migliaia di giovani: studiate? o andate semplicemente a scuola? È comune poi il lamento: quanto difficile trovare un giovane che dimostri una certa maturità intellettuale, col quale poter porre e discutere problemi che non siano solo sempre quelli, pur degni d'attenzione, dello sport.
Il giovane certo non ne ha gran colpa: nel maggior numero dei casi va a scuola perché lo mandano, o lo pregano di andarci i suoi parenti. E allora, che un po' di colpa non l'abbia, con tutto il rispetto per valorosi insegnanti, per programmi elaborati con gran cura e amore, per gloriose tradizioni, che un po' di colpa non ce l'abbia... la scuola?
Ha essa sempre il vero senso della sua missione? O non è invasa pur essa dalla mania di "collocare" a posto sic et simpliciter i suoi scolari dando loro il sospirato diploma? Lo sappiamo: la maggioranza degli studenti medi non andrà all'Università, né per essere dotti o tanto meno sapienti c'è bisogno di andarci. Ma questo noi vogliamo dire: non sempre, anzi raramente, anche nella scuola media, si ha il concetto vero dello studio, che è sì bisogno di sapere, ricerca della verità, esercizio nobilissimo delle più nobili facoltà dell'uomo, ma soprattutto atto religioso, salita “per visibilia ad invisibilia", omaggio della mente al suo Creatore - mente che nel suo stesso esercizio e in tutti i campi che coltivi, sente ad ogni momento la presenza, la potenza, la bellezza del suo Dio -: questi concetti, domandiamo, sono vivi nella scuola e vengono chiariti dai docenti ai giovani? Risposta assai triste si dovrebbe dare. Oggi ancora si ha dello studio il semplice concetto, umanistico, del sapere per il sapere, della scienza per la scienza e così via.
È compito impreteribile degli studiosi cattolici, dare a quanti attendono da loro un po' di luce, un metodo di studio cristiano, e, nella più disperata contingenza, additare come si possa sfruttare cristianamente le cose così come stanno. Non basta l'ora di religione settimanale per poter dire cristiana una scuola; ci vuole la pratica cristiana della vita e anche - è quanto vogliamo dire in queste righe - un orientamento cristiano degli studi.
Traducere leniter aevum

Fu questo, com'è noto, l'ideale di Orazio... ed è anche quello di non pochi uomini. Significa ciò, in parole povere, non prendersela di nulla, fare poco per non avere eccessive responsabilità, e intanto tirare a campare. Altri scrisse e disse che val meglio un giorno da leone che cent'anni da pecora. Certa è una cosa: la nostra vita è brevissima, chi voglia fare qualche cosa di bello e di grande deve decidersi per tempo, agire con decisione e non tanto leniter, sennò muore quando dovrebbe concludere. Ma, direte, e l'esempio di Orazio non conta in senso proprio contrario? Non visse egli assai comodamente e tuttavia non scrisse dei bei versi che gli hanno dato l'immortalità? Sì, ma fece poco del bene all'umanità e quel poco gli costò certo gran fatica di spirito e di cervello.
Chi vuol fare cose grandi deve soffrire molto, altro che traducere leniter aevum. È legge di natura e di Dio: non illudiamoci di fare alcunché di veramente superiore senza molta sofferenza o nello spirito o nel corpo. Lo sanno gli atleti, gli scienziati, i santi. Come non ameremo dunque il dolore quando viene, sapendo che è il crisma naturale e soprannaturale degli eroi? Come non valorizzeremo la sofferenza, il travaglio dei nostri studi, essendo essi il tributo che a scopo di sudditanza dobbiamo pagare alla Fonte di ogni sapere?

Libri

C'è chi li ama troppo, chi li ama male, chi li ama niente. Scartiamo subito, per non mancar di rispetto ai nostri studenti, quest'ultimi: diciamo anzi a maggior chiarificazione, che sono rarissimi, perché un libro almeno (sarà “Pinocchio”, sarà “Mille e una notte”, sarà un trattato di gastronomia o di sport) tutti nella loro vita lo amano. Basterebbe a rigore che se ne amasse uno sul serio, ma fortemente ma coerentemente - il Vangelo - per fare a meno di tutti gli altri. Gli altri si possono, si debbono amare in quanto sono riflesso, commento, derivazione da quello. Intendiamoci.
Non si vuol dire che si debbano leggere trattati di esegesi evangelica e solo quelli. Ma si vuol ricordare che tutti i libri debbono servire per portarci a Cristo. Ben vengano quelli che ci parlano di Lui, della sua bontà di creatore, di conservatore, di redentore dell'uomo: nessun trattato può fare a meno di Lui: quelli che ne tacciono, ne fanno maggiormente sentire il bisogno. Fisica, chimica, matematica, astronomia, andate dicendo, non v'è scienza che possa ignorare i benefizi del Creatore, che non si risolva in una lode di Lui. Per questo noi dobbiamo amare i libri, perché son mezzi per ricordarci di Dio.
Mezzi, non fine: questo diciamo per quelli che i libri amano troppo. Non ridete, ci sono anche questi, idolatri del libro, schiavi di fallaci teorie, servi della carta stampata, adoratori dei vari "io" anziché di Dio. (N. 14, 11 aprile 1937, p. 1)

PUNTINI SUGL'I - 2


Cosa vale di più?

Nell'età giovane, quando i problemi si presentano allo spirito, se non con grande chiarezza, certo con grande veemenza ed esigono una pronta soluzione, più volte ci siamo chiesti: “Cosa vale di più?” e la risposta non è stata dubbia.
Su tutti i valori, su tutte le conquiste, per confessione comune, valgono i valori dello spirito. Vale di più - abbiamo sentito dire - un uomo che viva la sua vita interiore, che non tutte le scoperte, che non tutte le invenzioni di tutti i secoli. E in un primo tempo abbiamo accettato tale conclusione come soddisfacente.
Certo, un moto dello spirito è più fecondo di una macchina, perché questo può creare quella e non viceversa. Ma col crescer degli anni, la conclusione non concludeva più abbastanza. Venivamo accorgendoci che un altro valore supera e sovrasta anche gli stessi valori dello spirito, che specula, che indaga, che è tutto teso alla ricerca e alla scoperta della verità.
Un atto di amore, trasformato dalla Grazia in "Charitas", ci parve ben superiore a tutte le conquiste dell'umano pensiero. È utile riaffermare la conclusione ultima a studenti cattolici: più della macchina, più della stessa pur nobile attività dello spirito, vale la carità. Ma alla vostra coscienza di studiosi deve balenare, come mèta e ideale l'unione intelligente dell'attività studiosa con la carità che non conosce confini. È un avvicinarsi a Dio, nel quale carità e intelligenza sono una cosa sola.

Studio a memoria

La scuola moderna per motivi vari tiene, in genere, poco conto dello studio a memoria. E fa male. Se l'intelligenza è necessaria all'uomo, non lo è meno la memoria. L’una e l'altra debbono avere un corrispondente armonico sviluppo. Senza l'una o senza l'altra si conclude nulla. Anche in questo il nostro studente deve essere all'avanguardia. Curare lui, se gli altri lo trascurano, lo studio a memoria. Imparerà così e saprà citare senza eccessivi sforzi i passi più belli degli autori che più gli piacciono; amplierà senza accorgersene la sua cultura, e si libererà un po' dalla schiavitù del libro. Ma il risultato più utile di questo studio a memoria, sarà lo sviluppo maggiore della sua memoria, il che gli sarà utile qualunque strada scelga nel mondo.
Tanto vale l'uomo, è stato detto, quanto ricorda: presa con saggezza, è massima verissima. Cosa vale “aver inteso” senza lo “ritener”? Si aggiunga che chi studia a memoria, con costanza e con metodo, man mano che procede trova minori difficoltà e riesce, con l'esercizio, a mandare a memoria passi e brani considerevoli, senza eccessivo sforzo. È certo che la memoria si aumenta moltissimo e individui forniti da natura di scarsissima memoria, possono con l'esercizio razionale e costante, raggiungere la memoria di individui privilegiati in natura. Non dimentichiamo tuttavia che l'esercizio, per essere veramente utile, deve essere razionale, metodico cioè, e graduale.
Del resto è cosa nota a tutti gli studenti: verso la fine d'anno, se si sono fatti esercizi regolari, la memoria s'accresce e si studia con minor fatica. Studiate dunque, con piacere, a memoria: potenzierete le vostre possibilità di studiosi, di apostoli della buona causa.

Pregare per intendere

Il Cottolengo, quando era piccolo, pregava il Signore che, per intercessione di San Tommaso, rendesse molle la sua testa dura. E, notate, egli non aveva da compiere una missione culturale, ma caritativa. La luce venne ed egli poté essere ordinato sacerdote. Studenti medi, che abbiano una specifica missione culturale da compiere, anche se una minoranza soltanto di loro andrà all'Università, hanno mai pensato di chiedere al Signore invece della semplice promozione, maggiori lumi, più intelletto per comprendere meglio le bellezze del creato, le profondità dell'opera di Dio, quanto almeno è concesso all'uomo? Non è poi questo un buon mezzo per riuscire anche meglio nella stessa carriera scolastica?
Quasi sempre - a meno di essere anormali - grandi ostacoli si trovano nelle varie discipline, perché non si hanno idee chiare sull'importanza di esse, sulla loro funzione nell’economia dell’universo, e molte volte non si ha l'entusiasmo della ricerca, dello studio perché lo si considera avulso dalla vita, non si ricorda la funzione “religiosa” che un cattolico deve dare allo studio medesimo. Questo dobbiamo chiedere "instanter" al Signore; che si degni di farci comprendere la bellezza della nostra missione, con una infusione maggiore di intelligenza, con un'abbondanza di lumi tutta speciale.
Egli ce la darà certo; ma vuole che la chiediamo. E poiché è grazia grande, occorre pregare molto. Lo chiede la Chiesa per tutti i suoi figli - infunde lumen sensibus - in modo tutto particolare anche per chi studia. Domine, ut intelligam!

Gioia o dolore?

Conoscete certo la favola socratica del piacere e del dolore. Anche lo studente la vive. Se non sorridete, vi faccio la domanda: “Lo studio è piacere o dolore?”. Nessuno risponde, perché tutti sono scappati. Risposta chiarissima... E io vi dò ragione: lo studio è ragionevolmente dolore. Data infatti la caduta dell'uomo, dobbiamo conquistarci con il sudore della fronte, il pane per la bocca e il sapere per lo spirito.
Non si sfugge a questa legge e nessuno nasce con la scienza in saccoccia, ma deve andare a guadagnarsela, spendendo tempo, denaro, intelletto. Io posso abitare nella stessa casa di un pozzo di sapere, ed essere un asino; mio padre può ben essere un genio, io continuo ad essere un somaro.
E notate che dei secoli sono passati, eppure è sempre così: l'uomo nasce ignorante e tutta la fatica della brava gente che l'ha preceduto, non vale nulla per lui finché è in culla, finché si accontenta di crescere, di mangiare e di dormire. Un bel giorno te lo mandano a scuola, festante o recalcitrante: dopo dodici o quindici anni di studio (lagrime + dolori + sospiri) incomincia a capire che se vuol fare qualcosa per il progresso del sapere, della scienza, dovrà studiare per tutta la vita.
Eppure provatevi a far rimaner l'uomo ozioso, non sarà certo contento. Rimpiangerà la fatica, il dolore dello sforzo, le lacrime del lavoro. Come uscirne? Accettare, come dolce prova del Signore, tutte le fatiche, tutti i dolori inerenti allo studio. È proprio Lui che ha voluto così: nasconde sotto l’involucro del dolore di sapere, la gioia del sapere. (N. 25, 4 luglio 1937, p. 1)

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Un bel tipo

Abbiamo bisogno, ha detto e scritto il Presidente Centrale, di creare il "tipo" dello studente medio cattolico. Ribattiamo fino alla noia il comma: non avremo tipo di studente medio cattolico, se non avremo prima giovani studiosi. Molti nostri bravi amici credono di fare dell'apostolato perché fanno funzionare bene il "gruppo”, perché hanno trovato molti abbonamenti a Credere, perché perdono un certo numero di ore alla settimana in attività di propaganda.
Non si curano poi nemmeno per sogno di migliorare la loro condizione scolastica, di studiare di più degli altri, di tentare di essere i primi in tutte le attività scolastiche (tentare - notate, perché non è sempre possibile il riuscirvi, ma sempre il tentare). Frustrano questi bravi apostoli tutta la loro attività. Perché il primo apostolato è quello dell'esempio: se non c'è quello, i compagni piano o forte ridono dietro, prima o poi pensano: è un bravo cattolico, ma non è studente. Non credo che Massinelli sia mai riuscito a fare dell'apostolato studentesco e tanto meno Crapotti. Gridiamo forte: l'apostolato al quale è chiamato lo studente è essenzialmente culturale. Sviluppi poi, se crede e se gli avanza il tempo, altre forme di apostolato, ma curi prima di tutto la cultura sua con lo spirito di carità, s'intende, non di egoismo, e cioè per potere dire una parola ascoltata ai compagni, per essere luce e sprone ai compagni, per essere agli occhi dei compagni "tipo" di giovane cattolico studente. Facta et non verba.

Senso della cattolicità

Grande fortuna, quella dei nostri studenti! Sentire, secondo quanto dice S. Paolo, che tutto loro appartiene. Se cattolici, infatti, debbono sentire - ed essi soli possono sentire - il senso della cattolicità. In che consiste? In una disposizione dello spirito, in una serena e sicura convinzione che "tutto" loro appartiene.
Il cattolicesimo, infatti - ed esso solo - ha detto "sì" a tutta la natura, a tutte le cose, purificandole dalle scorie, quando è necessario; tutta la natura, tutte le cose purificando per dare gloria a Dio e pace agli uomini. Quindi il nostro giovane si trova in una condizione particolarmente privilegiata per sentire tutto il valore della natura, delle scoperte, dei progressi in tutti i campi. Egli sa che anche il male che Dio permette può essere redento, asservito al corteggio di gloria che dalle creature tutte si innalza a Dio; anche, notiamolo, ad insaputa delle creature stesse.
Perciò nulla può essere considerato come estraneo ad una coscienza cattolica; perciò il nostro studente, se da un lato gioirà per la gloria data direttamente a Dio da tanti sublimi ingegni - da Dante a Manzoni, da Volta a Marconi, da Pasteur a Pastor - cercherà intelligentemente di rinvenire quanto di buono c'è anche nei sistemi lontani dai nostri, anche nelle idee che a tutta prima fanno a pugni con le nostre. E ciò non per servile adattamento, non per comodo di evitare la lotta, ma per dimostrare al mondo che lo ignora che tutti gli spiriti, tutte le anime, conservano sempre, anche nelle loro aberrazioni, anche nei loro allontanamenti, un riflesso della mente della quale sono creature.
Il lavoro di cernita non è sempre facile, non è sempre fattibile sic et simpliciter (va poi compiuto solo quando si abbiano concetti chiari su quella che è l'essenza del Cattolicesimo, e anche allora con molta prudenza e cautela), ma dovrebbe costituire un desiderio, un sacro impegno per ogni studioso cattolico. (N. 29, 1° agosto 1937, p. 1)

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Cura d'anime

Si ha in genere, fra cristiani, un'idea errata in fatto di apostolato. C'è chi esagera e c'è chi fa troppo poco.
Tra i primi sono quanti, non chiamati a forme specifiche di apostolato, si affannano a far del bene trascurando i doveri del proprio stato (per esempio: uno studente lo studio, un padre di famiglia i figli). Sono pochi, a dir vero, costoro, ma ci sono anche nelle nostre file.
Tra i secondi sono quanti pensano che l'apostolato debbano farlo solo i preti, i missionari e le suore.
Orbene: a questo mondo chi c'è che a un titolo qualunque, non abbia cura d'anime? Nessuno.
L'importante è, dunque, individuato il campo del nostro apostolato, non trascurarlo: non dire: non tocca a me. Tutti siamo in qualche modo responsabili delle anime che la Provvidenza mette sul nostro cammino.
Almeno (e non è il più?) diamo l'esempio vivo e penetrante di una vera vita cristiana.

Fantasia = egoismo

Dolce il sognare: una bella posizione, una bella carriera, quell'affare, questo guadagno... E si pensa sempre a noi: egoismo.
La mala bestia si caccia anche nella virtù: e molte volte i "buoni" sono vittima del proprio egoismo che fantastica. Pensano troppo a se stessi, hanno un egoismo della virtù, hanno un amabile giardino chiuso in cui con la loro fantasia passeggiano e si dilettano.
Quanto tempo perduto! Se facessimo alla sera un computo con l'orologio alla mano dei minuti persi in fantasticherie durante il giorno, non credete che ci sarebbe da inorridire al vedere le "ore" perdute? Castelli in aria che la realtà della vita disperde.
Apri l'occhio al nemico di casa: la fantasia!

Rotaie fisse

Il giovane che non sente l'esigenza di avere un orario di vita, è fuori strada. È inutile cercare scusanti! Pigrizia, trascuratezza, perdite di tempo: ecco le vere cause e gli effetti veri.
E sì che è facile farsi un orario anche non rigido, ma ragionato e ragionevole - discuterlo anche se del caso con qualche persona esperta - ed è cosi prezioso e confortante!
Ripeto: l'importante non è che l'orario sia pieno di voci, che non abbia spazi di riposo (ché anzi questi ci devono essere) ma che sia osservato.
In un primo tempo fatevi un orario semplicissimo: ora tale levata; ora tale pranzo; ora tale cena; ora tale a letto. E poi osservatelo per 4 o 5 o 6 mesi. Quando siete un po' abituati, crescete qualche voce: studio, passeggio, divertimento...
Sempre ad ora fissa. Non abbiate paura di diventare formalisti e troppo metodici: la virtù ha bisogno di rotaie fisse, perché il treno possa passare di corsa!
Ci pensa la vita a rompere i formalismi, state sicuri.

Anche allo spazzino

Generalmente noi intendiamo per superiori solo quelli che occupano un gradino più in su di noi: se soldato almeno il caporale, se studente il maestro, se figlio il padre. Ed effettivamente sono codesti dei veri superiori.
Ma abbiamo mai pensato che è bene, è bello, qualche volta anche direi doveroso, obbedire a chi ci è superiore in bontà, in virtù, in santità?
La nostra superbia ci impedisce di essere umili di fronte ai veri nostri superiori. Ci è superiore lo spazzino di strada se sia migliore di noi nell'umile adempimento del suo dovere. Ci è superiore anche il fratello che ha due anni meno di noi, se di noi è più obbediente, più studioso, più laborioso, più virtuoso.
Capire la vera superiorità! Quale dono di luce e quale sicura regola di condotta! Allora si praticheranno le sfumature della virtù, si cercherà di obbedire anche ai piccoli cenni, anche quando non tuona imperiosa la voce del comando (allora quasi tutti sanno obbedire).
Vedere negli altri, sempre, una creatura migliore di noi, è segno di gran virtù: esser disposto, nel bene, ad obbedire a chiunque, è segno di gran saggezza. (N. 5, 5 febbraio 1939, p. 1)

(a cura di Rinaldo Cordovani)