Home - Autobiografia - Biografia fotografica -

La legge di gravità, la eco, la neve


Gli articoli scritti dal prof. Paolo Roasenda su “Il Giovane Piemonte”, settimanale della Gioventù di Azione Cattolica Italiana in Piemonte, spesso prendono occasione dall’osservazione delle realtà più ovvie e ne suggerisce una lettura formativa in chiave cristiana. Ne propongo tre, pubblicati negli anni 1932-‘33.

GRAVITÀ


Chi scrive ha tra le curiose avventure della sua vita, da annoverare anche questa. Conobbe un laureato che non credeva in Gesù Cristo perché... "non l'aveva mai visto" (Scommetto che voi, lettori, crederete a me... perché quel signore di cui parlo “non l'avete mai visto”).
Questo tale credeva però alle leggi di natura: pensate un po'... era un fisico! Co­me si fa a guadagnar la pagnotta grazie ad una laurea, guadagnata grazie alla com­petenza dimostrata in conoscenze fisiche, e non prestar fede alle leggi fisiche? Dunque ci credeva e... non le vedeva! Ne vedeva solo gli effetti, i fenomeni; da questi per via di ragionamenti, risaliva ad una legge. (Non s'era mai chiesto "se c’è la legge... il legislatore dove è!"). Credeva, per es., alla legge di gravità. Un corpo abbandonato a se stesso cade a terra: una pera che si stacca dal ramo cade... sulla zucca del pas­sante: il pallone, esaurita la forza viva che gli ha impresso il calcio del giocatore, ritor­na... a terra.
Tutto tende alla terra, naturalmente. Lasciamo stare quel bonomo, e veniamo ad una duplice conclusione.
Una forza incoercibile ci attira al centro della terra: al centro, cioè all'unità. Ri­flesso mirabile, questo, stampato in natura, di una verità soprannaturale. Noi siamo fatti per l'unità, tendiamo al centro, a Dio, naturalmente.
Se vogliamo, possiamo però (non togliere quella forza: il desiderio di Dio, di averci a sé uniti, è insopprimibile) stornare, deviare, frenare quella forza. Lo facciamo continuamente quando ci muoviamo, saltiamo, corriamo... cerchiamo di eludere quel­l’attrattiva... alla terra. Su questa ci abbandoniamo quando non abbiamo più forze contrarie. Così nel soprannaturale: la voce di Dio ci chiama, ci attira: noi ci tiriamo in là, di su, di giù, pur di non sentirla: finalmente, non ne possiamo più, e ci abban­doniamo a Lui: in Lui finalmente riposiamo. Che anche quel signore di cui sopra trovi, nell'armonia delle leggi e nella legge dell'armonia universale, la via del Signore. (N. 42, 22 ottobre 1932, p. 2)

LA VOCE E LA ECO


Come rendere l'idea? Ecco, forse, con la similitudine: la voce e la eco. Altro è, naturalmente, la mia voce, altro la eco che essa può destare quando si rifranga in speciali condizioni di ambiente, di distanza, ecc. Così è della vita soprannaturale, della vita vissuta con fede, con speranza, con carità piena. È una, inconfondibile con i sur­rogati che sono vita anemica di fede, tremolante nella speranza, povera nella carità, vita da uomini e basta, cioè non da uomini redenti. Eppure di più la si confonde, la si vuole confondere; più comoda forse, ma quanto più brutta la vita che così si vive! Compromessi ad ogni cantone, finte e menzogne ogni giorno: con noi, con i nostri doveri, con la nostra coscienza. Non si chiudono mai gli orecchi ansiosi di sentire, se si possa sentire, la vera voce, anche per un momento solo, ma sentirla la "vo­ce"! La eco basta: si vive di ombre. Non si desidera l’esperienza personale del Cri­sto. Egli, il grande Vicino, è creduto, o voluto lontano, assente: il Cristianesimo, roba di libri, di cultura, di catacombe. Bella cultura, ottimi libri; ma, si ritiene, roba mor­ta. Non "si sente" Gesù, perché non ci si mette nelle condizioni di sentirlo: non "u­miltà" è il nostro forte, noi che con la chimera del progresso vogliamo arrancare per tutti i mari; non il "raccoglimento" è il nostro segno, avidi come siamo di spargere e di dissiparci; corriamo, voliamo, e non abbiamo più cinque minuti all'anno di tem­po per sentire la Sua voce, che parli a noi direttamente. Pallida eco qualche libro serio, qualche predica di sfuggita, un malato che soffre, una morte repentina; ma ci facciamo subito un dovere di cancellarla, anche la eco, con il rimbombo dei motori divoranti le lunghe strade, con il fragore delle danze. Siamo divenuti sordi perché non abbiamo esercitato più il senso dell'udito; e ci vorrà lo schianto dell'Apocalittico scon­volgimento per riscuoterci dal letargo. Oggi, si dorme. (N. 46, 19 novembre 1932, p. 1)

NEVE


Ecco che è caduta, a più riprese, ma sempre soffice, candida, silenziosa. L’han benedetta i contadini, gli sciatori, i bambini. Ci sarà pane come c'è da scivolare e da pallottolarsi per tutti. Quella, nessuno strumento, neppure il più perfezionato, l'ha fatta. La radio, umile serva, ne ha annunziato lo spessore nei vari colli e la segue con attenta cura. Ecco che un po’ di polvere bianca la fa da regina sui macchinoni e sulle antenne: forse perché è pura tutti la rispettano.
Nessuno l'ha impedita nel venire e s'è presentata, proprio come dice Gesù, a tutti, a buoni e a cattivi, come la grazia Sua. Ma gli spazzini non la lasciano a terra: la spingono, la spargono, la ricompongono e in bei mucchi sporchi di terra, di fango, di nero, la buttano nelle botole. Penso che anche così è della grazia del buon Dio. Cade su tutti; pochi lasciano che s'accumuli e faccia farina, di quella bianca e buona; i più, inconsiderati, han fastidio, loro prude quel formicaio di granellini, e in... un soffio si mondano da quell'insistenza di benedizioni.
La parola buona dell'Assistente, l'esempio del compagno, la vita di un Santo, un pensiero meditato e che frulla spesso per il capo, una vetrina in cui stanno allineati libri buoni, la carità fatta al bisognoso, sono altrettante nevicate, leggere, inavvertite, non spazzatele per carità, con la ruvida scopa della ribellione al bene, che fa sparire troppo bene ogni... bene. Lasciate che s'accumuli, cresca, fino a formare una bella montagnola; il sole non la scioglierà come l'altra, il vento non la disseccherà, se voi non la mandate via. È la neve sotto cui cresce il pane che sfamerà in eterno le vostre anime: la grazia del Signore, veduto e posseduto. (N. 3, 15 gennaio 1933, p. 2)

(a cura di Rinaldo Cordovani)




















"

Renè Magritte









"

Renè Magritte





"

Edward Munch









"

Bruegel