Gli articoli scritti dal prof. Paolo Roasenda su “Il Giovane Piemonte”, settimanale della Gioventù di Azione Cattolica Italiana in Piemonte, spesso prendono occasione dall’osservazione delle realtà più ovvie e ne suggerisce una lettura formativa in chiave cristiana. Ne propongo tre, pubblicati negli anni 1932-‘33.
Chi scrive ha tra le curiose avventure della sua vita, da annoverare anche questa. Conobbe un laureato che non credeva in Gesù Cristo perché... "non l'aveva mai visto" (Scommetto che voi, lettori, crederete a me... perché quel signore di cui parlo “non l'avete mai visto”).
Come rendere l'idea? Ecco, forse, con la similitudine: la voce e la eco. Altro è, naturalmente, la mia voce, altro la eco che essa può destare quando si rifranga in speciali condizioni di ambiente, di distanza, ecc. Così è della vita soprannaturale, della vita vissuta con fede, con speranza, con carità piena. È una, inconfondibile con i surrogati che sono vita anemica di fede, tremolante nella speranza, povera nella carità, vita da uomini e basta, cioè non da uomini redenti. Eppure di più la si confonde, la si vuole confondere; più comoda forse, ma quanto più brutta la vita che così si vive! Compromessi ad ogni cantone, finte e menzogne ogni giorno: con noi, con i nostri doveri, con la nostra coscienza. Non si chiudono mai gli orecchi ansiosi di sentire, se si possa sentire, la vera voce, anche per un momento solo, ma sentirla la "voce"! La eco basta: si vive di ombre. Non si desidera l’esperienza personale del Cristo. Egli, il grande Vicino, è creduto, o voluto lontano, assente: il Cristianesimo, roba di libri, di cultura, di catacombe. Bella cultura, ottimi libri; ma, si ritiene, roba morta. Non "si sente" Gesù, perché non ci si mette nelle condizioni di sentirlo: non "umiltà" è il nostro forte, noi che con la chimera del progresso vogliamo arrancare per tutti i mari; non il "raccoglimento" è il nostro segno, avidi come siamo di spargere e di dissiparci; corriamo, voliamo, e non abbiamo più cinque minuti all'anno di tempo per sentire la Sua voce, che parli a noi direttamente. Pallida eco qualche libro serio, qualche predica di sfuggita, un malato che soffre, una morte repentina; ma ci facciamo subito un dovere di cancellarla, anche la eco, con il rimbombo dei motori divoranti le lunghe strade, con il fragore delle danze. Siamo divenuti sordi perché non abbiamo esercitato più il senso dell'udito; e ci vorrà lo schianto dell'Apocalittico sconvolgimento per riscuoterci dal letargo. Oggi, si dorme. (N. 46, 19 novembre 1932, p. 1)
Ecco che è caduta, a più riprese, ma sempre soffice, candida, silenziosa. L’han benedetta i contadini, gli sciatori, i bambini. Ci sarà pane come c'è da scivolare e da pallottolarsi per tutti. Quella, nessuno strumento, neppure il più perfezionato, l'ha fatta. La radio, umile serva, ne ha annunziato lo spessore nei vari colli e la segue con attenta cura. Ecco che un po’ di polvere bianca la fa da regina sui macchinoni e sulle antenne: forse perché è pura tutti la rispettano. ![]() |
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