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La rotaia, la luna, la tessera


Gli articoli di Paolo Roasenda su L’Azione Giovanile - Settimanale della Federazione Giovanile Diocesana Milanese - risalgono agli anni 1940-’41. Vi compaiono molti articoli già pubblicati da lui su Il Giovane Piemonte. I tre articoli che qui ripropongo, sono caratterizzate da tre slogan: “S.O.S.: cerco impiego; voglio imitare la luna; Alla larga, Formaggi e C. si avanza.
Il primo (Una rotaia sicura) insiste sulla meditazione, il secondo ( Pensieri in libertà) propone la santità ai giovani, il terzo (Professionisti) insiste nell’essere professionisti del bene.


1. UNA ROTAIA SICURA

Ho letto, tempo addietro, in un quotidiano, una curiosa inserzione. Un bel tipo si raccomandava con queste parole: “S.O.S.: cerco impiego”. Sentendosi sommergere nel gran mare della vita, lanciava il suo S.O.S. perché qualche rimorchiatore traesse a riva la pericolante sua barca. Sui nostri settimanali cattolici più d’uno dei nostri giovani vorrebbe inserire un richiamo fatto di speranza: Salvami, o sacerdote!
Chiedono i giovani, specialmente i migliori (che vedono balenare a intervalli, ora vicinissima ora remotissima la luce della perfezione evangelica) una mano amica che li rimetta a punto, o, se preferite una metafora più luminosa, che li metta a fuoco. Perché, incomprensibile mistero, ma realtà vera, molti giovani di Azione Cattolica so­no lasciati e rimessi completamente al buon Dio, mentre è proprio il buon Dio che ha dato la missione e la grazia ad hoc - di guidare cioè le anime - alle anime sacerdotali. Si teme di alzare il tono della vita giovanile, o di trovare incomprensioni? Solo ai novizi o ai seminaristi il privilegio di una mano che guida da vicino - e non ai nostri giovani che, nella polvere del mondo, hanno semmai maggiori bisogni, urgenza assoluta - pena la sterilità o la morte spirituale - di rotaie spirituali sulle quali correre? Capisco che la grazia del Signore non conosce ostacoli e non guarda mezzi: soffia dove vuole e dove meno, alcune volte, gli uomini vogliono: ma noi dobbiamo sentire la squisita delicatezza di essere “strumenti di questa grazia”, che tali sono i sacerdoti.
Purtroppo si diffida: i giovani, si ripete, non sono fatti per «meditare». Si confon­de cioè il meditare filosofico con il meditare del cristiano, quello che è accessibile al pastorello delle alpi forse più che allo studioso.

Intanto si sbaglia di tattica. Non chiamiamola più «meditazione» parlando ai giovani, ma lettura spirituale: lettura meditata, se volete, o meglio un piccolo bagno spirituale. Non insistiamo troppo - da principio - sull'ora in cui farla: meglio certo al mattino, ma perché, non anche di sera? Ampia libertà del «quando» ma non del «quanto» e del «come». In questo i giovani non possono fare da sé, perché non hanno il senso della misura. Le stesse vite di santi possono rappresentare un pericolo: il giovane potrà, ad es., essere più colpito da una forma di penitenza, che non dallo spirito che l'ha consigliata. È qui, cioè nel come e nel quanto che l'opera delicata del maestro spirituale ha ampio e insostituibile ufficio. Per Tizio ci vuole «S. Luigi Gonzaga», per Caio «S. Giovanna d'Arco»: ad ognuno il suo, ma è il sacerdote che conosce e «ognuno» e il «suo».
Consigliato il libro (la preferenza, s’intende va sempre al Vangelo, e all’«Imitazione di Cristo») bisogna insegnare come leggerlo: prima di dire «medita», occorre chiedere: «sapresti espormi quel che contiene?»; prima di assimilare (a ciò tende la meditazione) bisogna almeno intendere e intendere tanto da sapere esporre ad altri.
Perché, ad es., nelle nostre associazioni non si potrebbe con vero metodo chiedere il contenuto di un passo, il commento semplice di un versetto che sia stato indicato otto o quindici giorni prima alla lettura meditata dei giovani? Perché invece dei soliti avvisi minaccia o reclamo, non si appiccicano - e ci stiano otto, quindici giorni - nelle bacheche delle associazioni brevi e succose sentenze del Vangelo e dei santi, da sapersi a memoria, da esporsi poi in adunanze, scuole di religione ecc…? In tal modo si porterebbero sulla via maestra della perfezione - tranne poche eccezioni in cui la grazia particolare del Signore supplisce - possiamo affer­mare che non c’è progresso reale verso la perfezione se non accompagnato dalla meditazione.

Un santo - osserva il cardinale Schuster - differisce dal comune dei cristiani perché con logica più serrata, eseguisce più fedelmente quanto ha promesso nel S. battesimo. È quindi doveroso da parte di chi si occupa di giovani l'invitarli, l'istruirli alla riflessione, all'esercizio della ragione e del sentimento nelle cose di Dio. Non ba­sta ripetere ai giovani: «Il regno di Dio è dentro di voi»: necessita guidarli alla com­prensione, alla valorizzazione di questo regno.
Il movimento giovanile darà frutti più ubertosi. quanto più i sacerdoti, con oc­chio paterno e cuore materno, avranno insegnato ai giovani l'arte del meditare. Su tutto e in tutto il vostro apostolato vegli Colei che «meditava le parole di Dio nel suo cuore»: la Vergine Maria ben poteva ripetere di sé le parole del Salmista. «La tua parola forma l’argomento della mia meditazione». Da essa imparino i giovani come si deve e a qual patto si può portare Gesù agli uomini.
(N. 46, 1° dicembre 1940, p. 3)

2. PENSIERI... IN LIBERTÀ

Espressi


Non quelli da caffè, intendiamoci, né quelli che corrono sulle rotaie. Antonio porta quelli a mano.
È impiegato all'Agenzia Lampo - recapito autorizzato di lettere espressi. Salta su la bicicletta e vola. Consegna e scappa. Così da mane a sera. Una cosa, dopo un anno di tale lavoro, ha capito: le lettere bisogna consegnarle al destinatario.
Bella novità! Ma il bello si è che non tutti lo comprendono. Per es., pensa Antonio: le forze dell'intelligenza sono destinate a comprendere le bellezze di Dio. Perché invece troppi le destinano ad altra destinazione?
Le forze fisiche devono servire a sviluppare atti per il bene nostro e del prossimo.
- Perché, si domanda Antonio, molti le destinano invece al male proprio e del prossimo?
Il problema è questo: non sbagliare il destinatario. Il nostro destino è il Cielo - pensa ancora Antonio (mentre pedala veloce con gli espressi): siamo stati creati espressamente per il Cielo: non tuffiamoci dunque espressamente verso il ba­ratro infernale! La consegna deve essere effettuata entro lo spazio assegnato a ciascu­no da Dio: se no ti manda a spasso.

Luna

L'hanno cantata, mi dicono, i letterati: ma io me la godo. Il mio prato, quando è piena, è come di giorno. D'estate mi fermo a leggervi l'Azione Giovanile: non spen­do, non consumo, e imparo. Imparo dalla luna, che sa riflettere (così mi dicono) la luce del sole. È un riflettore e, per quanto più piccolo della terra, la illumina tutta. Credo che non le costi nulla di riflettere: essa lascia fare al sole. Lasciar fare a Gesù. Nell'anima mia, che può essere un riflettore per gli uomini della luce stessa che è Gesù, presente in me con la grazia, nell'anima mia più d'una volta scorgo piccole macchie che offuscano tale riflesso. Le toglierò: con pazienza e costanza, con qualche insuccesso dapprima, ma le toglierò tutte.
Risplenderà allora totalmente il raggio del sole di giustizia che è Gesù, ed io avrò l'onore e la grande gioia di rifletterlo. Voglio imitare... la luna: non lunatico, ma lumi­noso di luce lunare voglio essere.

Formaggi e C.
Che disperazione! È vero che non sono più disoccupato, ma la mia nuova occu­pazione mi costa... una fuga universale di tutti gli amici miei. Quando arrivo, se la svignano: «Alla larga, Formaggi e C. si avanza».
In verità sono allogato in un magazzino di formaggi. Non ridete: vi piace sì o no mangiarli? Ebbene, sopportatene la puzza. Certo che secca, e secca anche a me. Ma ho trovato il rimedio per cui tutti mi cercheranno e nessuno più mi sfuggirà. Buo­no voglio essere, caritatevole, servizievole, cortese, obbediente, tutto per amor di Dio: voglio spargere attorno a me, poiché non posso un profumo materiale, un profumo spirituale. Ho sentito dire che il «santo» la gente lo annusa dovunque si trovi: anche sotto le spoglie di un pezzente.
Io mi sforzo di essere santo, ossia di far meglio che posso quel poco che posso: la gente, saprà dimenticare Formaggi e C. per non sentire altro che il profumo del bene.
(N. 11, 16 marzo 1941, p. 3)

3. PROFESSIONISTI

Sì, è cento volte vero, siamo e vogliamo essere professionisti. Non di questo o di quel ramo del sapere (talora anche di questo), non di questo o quello sport (non lo disprezziamo ma ci interessa meno) ma professionisti del bene. La Chiesa chiama Confessori i suoi servi fedeli che hanno «confessato» nobilmente la loro fede: etimologicamente, confessori è quasi simile a professionisti. Dunque non scandali, ma passione; non esclusivismi (non c'è monopolio del bene) ma giusto orgoglio e bandiera. Come altri non perde tempo negli affari, così noi cerchiamo impiegarlo tutto al cento per cento, nella banca delle anime; se altri consulta orari di treni e piroscafi per non rimetterci la piazza, noi consultiamo spesso noi, e riduciamo la nostra giornata a una serie di ore (orario) che scoccano al bacio di Dio e trascorrono sotto il suo sorriso. Abbiamo con noi le nostre carte: le pagine del Vangelo; un codice inap­pellabile: il discorso del Monte; un amico dolcissimo: Gesù Eucaristico.
La nostra tessera? Il Credo. I nostri vantaggi? Il Paradiso. I nostri colpi di fortuna? Conquistare delle anime. Le gioie più pure? Trovare e aver modo di avvicinare le creature più lontane da Dio e, strumenti della sua grazia, riportarle alla via del bene.
Professione, come ognuno vede, faticosa, nobilissima, e che può impegnare tutta la vita di un uomo. Perciò siamo e vogliamo essere «professionisti».
(N. 24, 22 luglio 1941, p. 3)

(a cura di Rinaldo Cordovani)





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